Notturno

07 notturno

Levo gli ormeggi della notte
e prendo il largo, a bordo
del mio letto.
Ondeggiano le mura della casa
e dentro il sonno
matura il mio naufragio.

* * *

Vado per sogni e il corpo resta vuoto,
cenotafio di carne.
L’io s’infeltrisce, buco nero, centro
di gravità del sonno.

E mentre perdura la vacanza
notturna, senza me io sono solo
la pietra che divento, la radice
quadrata del mio sogno.

* * *

Ora somiglio all’inerzia delle cose.
Immobile
accado, prendo polvere, proietto
sopra le superfici la mia ombra.

Vibra la palpebra, e divento
soprammobile.
Decorativo
inutile.

* * *

Reliquia della notte, appendo al chiodo il sonno, ex voto di un altro po’ di tempo consumato. Lungo la navata, fittume di disegni imbruniti. Resiste nel disordine dei giorni solo il tratto sorprendente, il colore nuovo, l’accidente che devia, che vira al mare aperto.
E mentre scorro l’album dei miei giorni, tutto il calore rincasa, e nel cervello si allestisce il convito, e il corpo si fa freddo e duro, per durare.

* * *

Mi sogno spesso in ruolo di reperto. Avvolto nel sudario della notte, mi vedo scheletro, decomposto e scarnificato, oltre il vetro azzurrato di una teca, col cartellino e il numero d’inventario. Obitorio dei millenni. Le mummie egizie viste a Torino, nell’infanzia, popolarono a lungo i mie incubi. E forse l’orrore del corpo è stretto parente del timore della museificazione. C’è qualcosa di empio nel pensare che un corpo diventi cosa. Eppure l’umanità è questione risolta dopo un breve ciuffo d’anni. Trascorso un intervallo imprecisato, il corpo diviene reperto. Solo in casi aberranti, reliquia.

* * *

Vado a vedere
la lenta tessitura dello sguardo,
là dove l’occhio ridisegna l’occhio
e il tappeto del sogno
coincide col telaio.

Vedo da vicino l’impostura.

La fibra si confonde con la mano
il nodo con la spola,
io sono il sarto
e sono la figura.

A.M.
Dal poemetto inedito Beth (2006)

 

* * *

[originariamente pubblicato nel blog “Il teatro di Sisifo”,
sulla piattaforma Splinder]

* * *

 
 
 
 
 
 
 
 
 

Pubblicato il 17/10/2007 su Con parole mie. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 11 commenti.

  1. PannychisXI

    Che dire di te, Stammi lontano ma non lasciarmi.

  2. Alle lettura sento subito affiorare la voce di Alessandro, che già mi sorprese con alcuni di questi testi qualche mese fa.
    Il naufragio nel sonno, con meta definitiva nell’inutile soprammobile, è pilotato molto bene. Tutto scorre verso una tremenda (ma affascinante) reliquia.

    Antonio
    P.S. per Alex Sisifo: conosci per caso Mimmo cangiano, attualmente dottorando in italianistica a Firenze?

  3. alessandromelis

    Cara la mia Pizia, lasciarti non posso e anche quanto allo stare lontani sarà molto difficile nei prossimi tempi…
    Ma siamo già adusi ai reciproci spigoli. Buonano’,
    A.

  4. alessandromelis

    Caro Antonio,
    rispolvero oggetti cari e un po’ invecchiati, in attesa di tirar fuori le nuove unghie. Sisifo ti ringrazia, come sempre, della visita e delle parole care.
    Non conosco la persona di cui mi chiedi. Proverò ad informarmi da un collega di quel dipartimento.
    Stai bene, zio Diamine, e torna presto,
    A,

  5. LuisellaPisottu

    Ciao Alessandro, per la terza volta provo a scrivere un commento… Il mio pc si blocca…
    Luisella

  6. LuisellaPisottu

    Bene, pare l’abbia pubblicato. Dicevo: Complimenti per l’originale veste del tuo blog e per le bellissime immagini proposte.
    Su “Notturno” è interessante l’io che nel sonno s’infeltrisce…”Senza me io sono solo la pietra che divento…Immobile accado” . Noi a volte molto più utili a noi stessi, (alla nostra crescita spirituale), nel sonno che nella veglia.
    “Vado a vedere… e il tappeto del sogno coincide col telaio…Io sono il sarto e sono la figura.”
    Che meraviglia! Bravo Alessandro.
    Con curiosità ti seguirò.
    Luisella

  7. alessandromelis

    Cara Luisella,
    grazie di essere venuta a trovarmi, e delle belle cose che hai scritto.
    E abbi sempre pazienza col computer: è solo un mucchio di silicio scemo.
    Torna presto,
    A.

  8. Caro Alex, di Mimmo cangiano ti chiedevo perchè sto dialongando in questi giorni con lui sul blog di Gianfranco Fabbri, facci un salto (sulla bacheca dei critici n.6 c’è lui che si occupa di Pascoli, sulla precedente io (!) che mi occupavo di Saba e prima ancora Sebastiano Aglieco ed altri ),l’indirizzo web è
    http://www.frucco.splinder.com
    A prestissimo
    Antonio

  9. Un notturno che ha la fattezze di una Pittura Nera.

    Del resto può essere sordissima la percezione della notte. Oppure no. Solo appena disposta all’ascolto, solo appena disposta alla possibilità del suo plasmarsi. Come fosse materia da modellare all’ingorgo: quello dell’occhio che ridisegna l’occhio, quello appena appena più in fondo dell’occhio-reliquia. Quello da stanare, da riportare alla retina del sogno.

    Questo, in prima battuta. Ma c’è così tanto altro, in questo testo che trasuda di simboli amniotici che, mi rendo conto, questo poco -di prima battuta- è davvero ben poca cosa.

    Apprezzato moltissimo.

    Rr

  10. alessandromelis

    Caro Antonio, grazie della segnalazione. Andrò a leggere.
    A presto,
    A.

  11. alessandromelis

    Cara Rita,
    felice del tuo ritorno e delle tue parole.
    Questi versi sono un po’ anzianotti (hanno ormai quasi due anni…), ma sono tra quelli che amo di più. Dicono (cercano di dire) la paura e il desiderio dei miei viaggi nel buio.
    Quello che mi ha reso più felice è stato l’uso da parte tua di quel bell’aggettivo (“amniotico”). E allora ti metto qui uno dei brani che, nel poemetto, precede di poco il “Notturno”:

    “Sorge dal buio il volto della casa: antro, utero, conchiglia. Segno doppio, sogno curvo, apertura e ritrazione. Come un corallo, che a notte si dischiude nel suo ventre.
    E in questa cripta muovo lenti passi, come un ladro, nel buio vedo chiaro un confine che non posso superare, che si muove con me mentre cammino. La speranza, o il desiderio, o questa volontà violenta del possesso non attenuano il solco. Resta uno spazio di equilibrio, un cerchio definito, nato e cresciuto in un intreccio insolubile di cause e di affetti, divenuto traslucida membrana, placenta, vitale escrescenza del mio corpo. Ma allora non si è sciolto del tutto l’antico nodo del buio prenatale, della linfa sanguigna, del succo nutriente. Scorre ancora sotto il velo sottile della pelle e nelle curve sonore della lingua.
    Utero notturno, domestica conchiglia, mi avvolge la casa in lente spirali di calcare. Io sono carne molle stretta al centro, polpa salina, seme rigoglioso, brulicante, vivo di un respiro alterno e vegetale.”

    A presto (con un saluto speciale al bon-omino che edifica la sua casetta),
    A.

Lascia un commento