rapsodie (1)
Due anni fa (era il 19 aprile del 2009), incominciai a pubblicare queste rapsodie, nate da un’amicizia ritrovata, e dalla casualità di alcune mail. Ma come spesso accade, i progetti si incominciano, e poi si abbandonano. E’ successo anche a me con questo blog, e ho smesso di pubblicare queste “messe in scena” prima che le rapsodie che Paolo Siracusano ha scritto per il Teatro fossero tutte pubblicate.
Oggi torno al blog, completamente rinnovato nella grafica, e spero anche più spontaneo nei contenuti, e mi sembra il modo più giusto di ricominciare, questa “ristampa” delle rapsodie. Che questa impostura si compia, e non resti a metà. No, proprio non lo merita. Ancora una volta, buona lettura, buon ascolto, buona visione.
di Paolo Siracusano
Da dove cominciare?
Il cosmo mi sembra un buon trampolino di lancio.
Più o meno coeva a 2001 Odissea nello Spazio è Space Oddity (1969) di David Bowie:
La musica pop crea un personaggio (Major Tom) che esiste solo nello spazio cosmico ed esiste solo in quanto vi si perda. Complici gli acidi lisergici e l’estetica anni ’70, le manopole dei mixer sono i tasti di comando dell’astronave che esce dal controllo del “ground control”.
Molti anni dopo, Bowie canterà Ashes to Ashes [1980, dall’album Scary Monsters (and Super Creeps)], in cui seppellisce e rinnega la sua maschera, causa, come spesso accade per le maschere, di fraintendimenti suoi (e di qui la rabbia: “you’d better not mess with Major Tom”) e degli altri (e di qui la dolcezza e la compassione):
Bowie-pagliaccio richiama involontariamente la marionetta di Totò in Totò a colori, mentre in alcuni fotogrammi si scorgono anticipazioni di Matrix. A suo modo apocalittica la scena finale in cui Bowie parla con la mamma sulla spiaggia.
Come si possa poi passare dallo spazio cosmico a Carmen Consoli, è domanda da porre a Natalie Merchant (evidente ispiratrice – nello stile del canto – della cantantessa catanese), qui impegnata in una struggente cover di Space Oddity (1999):
Nondimeno, Bowie David, molti anni dopo ancora, nello spazio vi torna, grazie alle tecniche e agli strumenti offerti dagli anni ’90. L’album è Outside (1995), in cui il personaggio creato (complici le magie di Brian Eno) è una specie di detective, Nathan Adler, precipitato in un incubo cronenberghiano di carne e macchine.
Ancora una volta, lo spazio è isolamento e perdita dell’innocenza.
Ecco qui la rilettura di Hello Spaceboy dei Pet Shop Boys (1997, che citano di nuovo Space Oddity):
Già nel 1991, d’altra parte, la voce algida e quasi computerizzata dei Pet Shop Boys smitizza e forse rivalorizza Where the streets have no name degli U2 (1987, dall’album The Joshua Tree), epica ma ormai forse retorica nella versione originale, mischiandola a Can’t take my eyes off you (1967) celebre hit della dance americana:
2008: alle prese con la tecnica del mash-up gli italiani La Differenza danno una versione epocale – forse epocale è troppo, forse no – di Bandiera bianca (1981, Franco Battiato, dal’album La voce del padrone) sulle note di Precious dei Depeche Mode (2005, dall’album Play the angel):
(continua)
* * *
[originariamente pubblicato nel blog “Il teatro di Sisifo”,
sulla piattaforma Splinder]
* * *
Pubblicato il 02/05/2011 su Rapsodie. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 2 commenti.
…sai che è bello bello, qui?
(scusa, non sapevo dove mettermi)
ci tornerò 🙂
grazie, Api. 🙂 Anche io tornerò nelle tue stanze. Ti abbraccio, Alessandro