dromodiario #3 [l’impossibile]

dromo14-03

31 luglio, Oristano – Valerio Corzani e Erica Scherl

Non avevo nessuna intenzione di costruire un giardino.
Sembrava impossibile.
(Derek Jarman)

C’era vento, a Mogoro, ieri sera, su al nuraghe Cuccurada. Un vento strano, di quelli potenti e pieni di voci, che si infilano nelle fessure, per ripulirle, e farle vibrare. Un vento che porta magia, suono, e luce. Un vento che porta paura, anche.
C’era un vento, ieri, che sentivo anche in casa, prima di partire per Mogoro, un vento che mi batteva forte dentro le vene e i nervi e i muscoli e le palpebre. Un vento che conosco bene, che comincia a soffiare da qui, dal centro dello stomaco, e soffia, soffia, e come ogni vento può spingermi al largo, veloce e stupefatto, oppure può spaccarmi la vela e inabissarmi.
C’era un vento, ieri, che lo avevo addosso da quando Salvatore mi ha chiamato per chiedermi di leggere il racconto di Tognolini, che è caduto, non verrà, ma vorrebbe che qualcuno leggesse ugualmente le sue parole di pietra e di miniera. E la prima primissima cosa che ho pensato è stata: impossibile.

L’impossibile è una pietra che nasconde una figura, imprigionata.
L’impossibile è un viaggio la cui rotta è scritta in cielo,
ma le stelle, le stelle giuste per orientarti, te le devi inventare.
L’impossibile è un labirinto, con infinite strade da camminare.

E poi sono arrivato a Cuccurada, su per i tornanti di Mogoro, l’ultimo a sinistra, e il vento continuava a spingere, e io avevo in mano i fogli stampati di Tognolini, e la storia di Maria Manidipietra, e delle janas che la volevano per sé dentro la montagna, ed era una storia così bella che mi sono detto Provo, proviamo.
E allora mi sono messo sottopalco, ad aspettare il momento di salire, e a guardare Lavinia Viscuso e le sue mani che muovono i bicchieri e battono sul tavolo e girano, girano, rapidissime, che sembrano libellule, grazia e forza insieme. E ascoltavo la sua voce, e le vocali e le consonanti, che lei frulla insieme davvero velocissime, e il rap che si mischia con lo jodel tirolese, e lei ride, e si diverte moltissimo, a fare quelle sue mescolanze di suono davvero impossibili.

L’impossibile è una pianura vasta e piena di luce,
su cui qualcuno, a un certo punto, disegna una via.
L’impossibile è una scatola, dentro cui c’è una scatola, dentro cui c’è una scatola, dentro cui, prima o poi, devi capire quando fermarti.
L’impossibile è un orizzonte, dietro cui c’è un altro orizzonte, dietro cui c’è ancora un altro orizzonte, e a un certo punto capisci
che hai proprio il dovere di non fermarti.

E sono salito sul palco. E con me è salito Antonio Farris e il vento era ancora lì, e Antonio aveva un altro vento bello, bellissimo, dentro il contrabbasso, e picchiava sul legno e cantava con le sue note e andava alto nel volo delle fate, e si inabissava nel ventre della montagna. E alle spalle avevamo un cielo che cambiava colore ogni istante, forse era il vento, oppure era la tessitura d’oro delle case delle fate, impossibile saperlo, e io provavo ad ascoltare tutta quella bellezza di parole, di suono e di cielo e a metterne un po’ dentro la voce.
E allora, lentamente, l’amore di Maria si è fatto grande e doloroso, le sue mani si sono indurite, i suoi compagni hanno dimenticato di consolarla, le janas l’hanno scelta e Maria Manidipietra è diventata montagna. E quel vento, quel vento impossibile, piano piano, si è placato.

L’impossibile è un mare all’incontrario, dove solo chi fa naufragio arriva alla meta.
L’impossibile è un animale, da domare.
L’impossibile è un giardino di pietra, costruito all’ombra di una centrale nucleare.

Io non lo so perché Derek Jarman quando ha visto quella casa di mattoni neri e di finestre gialle, proprio accanto alla centrale nucleare di Dungeness, ha deciso che lì voleva andare a vivere gli ultimi suoi anni. Aveva già scritto e girato i suoi film più importanti, e gli avevano diagnosticato una malattia terribile e senza scampo. Ma non credo fosse solo quello, a togliergli la paura. Io credo che un’anima così grande abbia deciso di arrampicarsi ancora un poco più in su, sopra all’inesplicabile impossibile. Per questo, proprio lì, davanti alla catastrofe che poteva arrivare da un momento all’altro, Derek Jarman ha costruito un giardino, fatto di ciottoli, e di altri oggetti trovati per caso, una rosa canina, cavolfiori e pervinche, catene arrugginite di mare e di tempesta.
A quest’uomo e a quest’artista grandissimo, capace di affrontare così meravigliosamente la desolazione e trasformarla in speranza quotidiana, è dedicato il concerto di oggi. In scena saliranno Valerio Corzani e Erica Scherl, con i loro “arredamenti sonori per ambienti” ispirati ai piccoli film super8 di Jarman. E io sono sicuro che sarà un viaggio davvero unico, quello di stasera, fatto di ricerche e inseguimenti, di accostamenti e fughe, di suoni naturali e materiali sintetici, che Valerio e Erica avvicinano o fanno litigare con una sapienza da veri giardinieri del suono.

Perché questo è un altro segreto dell’Eden. Inventarsi la bellezza con i materiali più assurdi, e nei luoghi più inattesi. Che l’Eden vero è quello che è una sorpresa per tutti, anche e soprattutto per chi lo crea. Proprio come per Jarman che, a chi gli chiedeva come è nato il giardino all’ombra della centrale, rispondeva

Io non avevo nessuna intenzione di costruire un giardino.
Sembrava impossibile.

Pubblicato il 01/08/2014 su Con parole mie, Dromodiario2014. Aggiungi ai preferiti il collegamento . Lascia un commento.

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