L’ostinazione dell’onestà

Ci sono molti motivi per cui bisogna andare al cinema a vedere “Le confessioni”, di Roberto Andò. Molti di questi motivi hanno a che fare strettamente con un modo onesto di fare il cinema. E per ‘onesto’ intendo laborioso, faticato, attento all’artigianato del mettere le parole giuste, le luci giuste, la camera nelle posizioni giuste. Una giustezza non oggettiva, ovviamente, ma in cui percepisci la cura e mai la spocchia. Insomma: l’onestà del fare la propria arte rispondendo alla propria scelta cosciente.
A me il cinema piace molto, inutile dirlo. A volte mi piace andarci anche perché sono di cattivo umore e ho voglia di perdermi un po’ (“buttarsi in un cinema con una pietra al collo”, scriveva molti anni fa Fabrizio De Andrè). Ma soprattutto mi piace entrarci con la speranza di uscire con un pezzo di sguardo nuovo. E “Le confessioni” di Roberto Andò quel pezzo di sguardo lo regalano con una generosità rara. Questo è il dono del cinema, certo, ma è soprattutto il dono dell’onestà.
La trama ve la posso dire in poche parole.

Il direttore del Fondo Monetario Internazionale, Daniel Roché, invita otto ministri economici eruropei e nordamericani a festeggiare il suo compleanno in un magnifico hotel sul mare del nord: la riunione servirà anche a sigillare una non ben chiara “manovra” economica, con la quale si decideranno le sorti di alcuni paesi dall’economia fragile. Imprevedibilmente il direttore invita alla conferenza anche tre outsider: un cantante pop, una scrittrice per ragazzi, un monaco certosino. E in questo set reso imbarazzante da una simile incongrua congerie di diversa umanità, Roché compie un gesto inaudito, che getta tutti i personaggi nell’incertezza. Da quel momento in poi, tutto dipende dal monaco, che ha raccolto la ‘verità’ del gesto di Roché in una confessione notturna, e che dunque – obbligato dal segreto sacramentale – protegge in ogni modo il proprio silenzio. Inutile ogni sforzo, ogni trucco, ogni intimidazione: la verità è custodita fino all’ultimo, rivelata in maniera imprevedibile solo a noi spettatori che abbiamo il privilegio – dio benedica il cinema – di guardare progressivamente dentro le memorie del monaco, dentro i suoi lenti movimenti interiori, dentro i suoni del suo passo meditativo sul mondo.
Sono tanti, ovviamente, i temi che un film del genere sceglie di affrontare, e lo slancio di un’opera d’arte è tanto più riuscito quanto più la materia è difficile da trattare. E oggi non si può non cercare di indagare con l’arte la materia plumbea oscurissima del potere economico, che sta uccidendo (ha ucciso?) la democrazia rappresentativa.
Ma non è questo il centro del film. Quello che a me sembra centrale è proprio l’ostinazione al silenzio di un monaco dal cognome parlante: Salus. Di fronte all’ombra del potere, nascosto e manovrante, Salus cerca e regala la salvezza con e dentro il suo voto: difende la sacralità della parola, della parola detta, di quella non detta. E della parola data. Sembra che la favola di Andò voglia dirci proprio questo, con il suo cinema di esattezze non ostentate e le sue inquadrature danzanti: di fronte ad un sistema politico-economico oscuro, nascosto nell’ombra, ambiguamente silenzioso, la salvezza – se verrà mai – verrà da eroi antieroici, piccoli bianchissimi e ostinati nella difesa dei propri orizzonti valoriali. Al silenzio morto dei potenti si risponde non con il rumore urlato (che si perde inevitabilmente nel chiasso vorticoso in cui tutti siamo immersi) ma con il silenzio tanto più potente quanto ragionato degli eroi minimi, capaci di rivoluzioni chiuse come gemme dentro un gesto.
Un gesto piccolo, ma onesto.

le confessioni andò

 

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Pubblicato il 13/05/2016 su Articoli, per così dire, Con parole mie, Politica, per così dire. Aggiungi ai preferiti il collegamento . 1 Commento.

  1. Che dirti, Alessandro, se non che ogni tua parola penetra in chi legge con leggerezza ma anche col dovuto peso, e scava e lascia il segno…
    Andrò a vedere il film, lo farò per dovere, per piacere, per “onestà”, per avere uno sguardo “pulito”, sempre.
    Grazie.
    Piera

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