Archivi categoria: MutisAlvaro

contributo per una possibile, disordinata ricostruzione (2)

2009_04_16 mutis2 terremoto_friuli_1976_mularie

Programma per una poesia
(Alvaro Mutis, 1952)
parte seconda 

Le bestie

Create le bestie! Inventate la loro storia. Affilate i loro grandi artigli. Temperate i loro becchi curvi e tenaci. Date loro un itinerario calcolato e sicuro.
Ah, chi non conserva un bestiario per arricchire determinati momenti e affinché serva come compagnia in futuro!
Estendiamo il dominio delle bestie. Che comincino ad entrare nelle città, che costruiscano il loro rifugio negli edifici bombardati, nelle fogne straripate, nelle torri inutili che commemorano date dimenticate. Entriamo nel regno delle bestie. Dal loro prestigio dipende la nostra vita. Loro apriranno le nostre migliori ferite.

I viaggi

È doveroso lanciarsi alla scoperta di nuove città. Ci attendono razze generose. I pigmei meticolosi. I grassocci e imberbi indiani della selva, asessuati e bianchi come i serpenti delle paludi. Gli abitanti delle piane più alte del mondo, stupiti dinanzi al fremito della neve. I deboli abitanti delle distese ghiacciate. Le guide delle greggi. Coloro che vivono in mezzo al mare da tanti secoli e che nessuno conosce perché viaggiano sempre in direzione contraria alla nostra. Da loro dipende l’ultima goccia di splendore.
Restano ancora da scoprire luoghi importanti della Terra: i grandi condotti da cui respira l’oceano, le spiagge dove muoiono i fiumi che non vanno da nessuna parte, i boschi dove nasce il legno di cui è fatta la gola dei grilli, il posto dove vanno a morire le farfalle scure dalle grandi ali lanute con il colore acre dell’erba secca del peccato.
Bisogna cercare e inventare di nuovo. Resta ancora tempo. Ben poco, è vero, ma è doveroso approfittarne.
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contributo per una possibile, disordinata ricostruzione (1)

2009_04_15 mutis1

Programma per una poesia
(Alvaro Mutis, 1952)
parte prima

Finita la charanga, i musicisti raccolgono assonnati gli strumenti e approfittano dell’ultima luce del pomeriggio per mettere in ordine i loro spartiti.
Prima di perdersi nell’oscurità delle strade, gli spettatori danno la loro opinione sul concerto. Alcuni si esprimono con deliberata e scrupolosa chiarezza. Si trova chi riferisce della vicenda con un fervore giovanile conservato accuratamente tutto il pomeriggio, per farlo brillare in quel momento con un fuoco d’artificio al crepuscolo. Altri opinano con terribile certezza e convinzione, lasciando tuttavia intravedere nella voce frammenti del grande sipario d’apatia sul quale proiettano tutti i loro gesti, tutte le loro parole.
La piazza resta vuota, immensa nell’oscurità senza rive. L’acqua di una fontana sottolinea l’attesa e l’ansietà che con lenta nitidezza vanno impossessandosi di tutto l’ambiente.
Da lontano si comincia a sentire la musica barbara che si avvicina. Dal cavo più profondo della notte sorge questo suono planetario e ruggente che strappa dal più nascosto dell’anima le radici palpitanti di passioni dimenticate.
Qualcosa inizia.

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